Ricordo un tempo in cui un motore entrava in casa in una lavatrice, faceva i suoi 10-15 anni di servizio e poi diventava una mola da banco o qualcos’altro.
Ricordo un tempo in cui si rifacevano i manici ai cacciaviti e quando una televisione veniva fornita del suo schema elettrico.
Ricordo di quando pezzi di rotaia diventavano incudini e potevi riparare da solo un apparato radio.
Ma ricordo questi tempi perché mio nonno faceva queste cose, non io!
Oggi sono in pochi a scegliere la via della riparazione, svolta da sé oppure presso professionisti. Le motivazioni non sono tutte banali:
- La miniaturizzazione richiede delle tecniche costruttive (colla!) che rendono effettivamente complicato intervenire. Servono attrezzature specifiche e il costo dell’intervento lievita.
- Molte aziende non sono affatto interessate a fornire componentistica sostitutiva a lungo termine, alcune non la forniscono affatto!
- Tanti oggetti hanno raggiunto un costo così basso negli ultimi anni che, mettersi a ripararli, non è più conveniente dal lato economico.
- Spesso chi ripara qualcosa, lo fa per il gusto di farlo, spendendo magari anche di più di quanto sarebbe costato un oggetto nuovo (presente!).
- Molte volte ci si ritrova con l’oggetto rotto e il modello nuovo sul mercato è più attraente.
Sicuramente possiamo, noi e i produttori, fare molto di più per ridurre lo spreco tecnologico.
In tutto questo dibattito (anche interiore) possiamo interpellare chi ha trovato il gusto e la vocazione alla riparazione, al no-waste tecnologico. Ad esempio la gente che incontrerete nei Repair Cafè.
E ovviamente non possiamo non unirci alla festa con la community del RIGHT TO REPAIR.
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